lunedì 13 aprile 2015

Recensione: Aoi Bungaku

AOI BUNGAKU
Titolo originale: Aoi Bungaku
Regia: Morio Asaka (ep.1-4), Tetsuro Araki (ep.5-6), Shigeyuki Miya (ep.7-8), Ryousuke Nakamura (ep.9-10), Atsuko Ishizuka (ep.11-12)
Soggetto: Osamu Dazai (ep.1-4/9-10), Ango Sakaguchi (ep.5-6), Soseki Natsume (ep.7-8), Ryounosuke Akutagawa (ep.11-12)
Sceneggiatura: Satoshi Suzuki (ep.1-4), Ken Iizuma (ep.5-6), Mika Abe (ep.7-8), Sumino Kawashima (ep.9-10), Yuji Kobayashi (ep.11-12)
Character Design originale: Takeshi Obata (ep.1-4/7-8), Tite Kubo (ep.5-6/11-12), Takeshi Konomi (ep.9-10)
Character Design: Masanori Shino (ep.1-4), Kunio Katsuki (ep.5-6), Shigeyuki Miya (ep.7-8), Mieko Hosoi (ep.9-10), Yoshinori Kanemori (ep.11-12)
Musiche: Hideki Taniuchi (ep.1-8/11-12), Shusei Murai (ep.9-10)
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2009


Nell’inverno del 2009 Mad House, per commemorare il centenario della nascita dello scrittore Osamu Dazai1, riunisce sei importanti storie della letteratura tradizionale giapponese e, inseguendo forse gli ottimi risultati incontrati da Toei con le ghost stories contenute in Ayakashi: Japanese Classic Horror (2006), le trasforma in un’antologia di grande fascino. Oltre a Dazai, anche gli altri autori sono nomi fondamentali del passato nipponico (lui, Ango Sakaguchi, Soseki Natsume e Ryounosuke Akutagawa appartengono a quella cultura letteraria storica che giocoforza è elitaria in Italia, la si può conoscere attraverso Feltrinelli e Neri Pozza e qualche altro ramo dell’editoria più intellettuale), e riappaiono nella serie televisiva Aoi Bungaku ("Letteratura blu") con un’intelligente opera di riverniciatura che nulla toglie all’espressione storica originale ma ne rivitalizza invece ogni sfumatura. Lo studio mette insieme un team insolito, affianca a nomi con certa esperienza ma minor fama come Morio Asaka giovani di talento testato e confermato come Tetsuro Araki e Ryousuke Nakamura, aggiungendoci le matite guest di un trio di mangaka (Takeshi “Death Note” Obata, Tite “Bleach” Kubo e Takeshi "Prince of Tennis" Konomi) al chara design. Il risultato, pur con alcune fragorose cadute, è visivamente maestoso e in più di un momento narrativamente travolgente, ciò che rimane più impresso è la maestria nel contestualizzare i romanzi originali conservando interamente quel loro sapore drammatico e intriso di antichità senza che il rilievo estetico, marcato anche dall’alto budget e dalle notevoli animazioni,  prenda il sopravvento.

Si comincia con il pezzo forte, dal romanzo Non più umano (1948) di Osamu Dazai. Morio Asaka mette in fila quattro eccellenti episodi che esplorano su vari livelli la disperazione e la solitudine: l’incapacità di Oba Yozo di convivere con le donne, portandole a un’esasperazione tale da sfiorare la morte in più occasioni, è mostrata con una delicatezza e una gestione emotiva di gran spessore. Toccare la follia, sottolinearne le escrescenze più tortuose e incomprensibili, raccontarla senza quella facili sbavature fatte di occhi spiritati e risate spettrali significa enorme tatto e conoscenza dell’argomento: la destrutturazione narrativa, che impedisce di capire di cosa parli realmente la storia e dove voglia parare sino ai suoi snodi centrali, è supportata da un’eleganza rarefatta e trattenuta che inquadra momenti ben specifici e lascia sfumare le scene di raccordo evidenziando il mostrato e nascondendo del tutto il raccontato. I preziosi e ricchissimi disegni di Obata e le musiche delicate ricamano le atmosfere dilatandole e oscurandole tra sprazzi malevoli di bianco e luci pallide.


Di colpo in bianco si precipita però nel baratro con la doppietta di Tetsuro Araki, che da una storia di vendetta sanguinaria costruisce un esperimento assurdo in cui fa convivere musical, demenzialità, ecchi e improvvise bordate di terrore. Stupefacente sulla carta, impressionante nei suoi momenti più lucidi (le sequenze danzanti, arricchite da accurate insert song; gli squarci colmi di sangue), in realtà è un abbozzo sconclusionato e spesso incomprensibile dove risalta soltanto la fredda modernità del disegno e gli sbalzi comici del tutto fuori luogo: Araki si muove bene con consueti tecnicismi elaborati ma mancano fondamenta e idee valide per sostenere il breve racconto Nella foresta sotto i ciliegi in piena fioritura di Ango Sakaguchi.

Si ritorna per fortuna su lidi ben migliori con la terza manche di episodi: Shigeyuki Miya affronta paranoia e disprezzo con i due punti di vista utili a spargere becero sospetto nell’isolata tristezza evocata da una parte del romanzo Cuore (1914) di Soseki Natsume. L’amicizia tra uno studente altolocato e un maestro ai limiti dell’eremitaggio viene messa a dura prova a causa di una donna della quale entrambi sembrano essere innamorati: ottimo il ribaltamento della situazione, perfetta la selezione dei tempi con cui svelare interrogativi e momenti dubbiosi, splendidi i dialoghi e la consistenza con cui modellano i tre protagonisti, piacciono anche i disegni nella loro bizzarra miscela di realismo e sproporzioni fisiche.

È invece molto ambizioso Corri, Melos!, originale rielaborazione dell'omonimo racconto del 1940 sempre di Osamu Dezai (e già a sua volta ispiratore di ben tre adattamenti anime prodotti da Toei Animatiion, lo special televisivo del 1981 firmato da Tomoharu Katsumata e il lungometraggio cinematografico del 1992 di Masaaki Ohsumi), dove Ryousuke Nakamura si giostra tra più livelli di esposizione alternando realtà e finzione con uno spaventoso rigore matematico, sfruttando una forte componente meta per raccontare i momenti più evocativi di un’amicizia che sfiora l’omosessualità pur senza mai palesarla. Uno scrittore teatrale di grande prestigio viene contattato per la scrittura di un’opera che, pur in contesti favolistici, somiglia tragicamente a un fatto accadutogli quand’era studente: la storia diventa un tramite per rievocare il passato e far luce su avvenimenti che aveva, volutamente o meno, accantonato. Nakamura è molto poetico e il lirismo di alcuni passaggi sicuramente appesantisce due episodi fin troppo drammatici e colmi di lacrime, ma l’evolversi della trama, il suo aprirsi lentamente attraverso una visività zeppa di sorprese, incastri narrativi e trovate enigmatiche è un puro piacere per gli occhi.

A chiudere, una doppietta di puntate dove Atsuko Ishizuka collega due racconti di Ryounosuke Akutagawa, li sprofonda in un immaginario fantasy colmo di sense of wonder e sfrutta un enorme talento visivo per siglare con immagini di pura meraviglia storie al limite dell’onirico. Una persona cattiva ne Il filo del ragno, rea di non aver fatto nulla di buono nella sua vita, e una ingannata ne L'immagine dell’Inferno (un pittore colpevole di aver involontariamente sfidato il re), riuniscono due vicende tristissime dove la morte spalanca cancelli di inaudito dolore, rappresentato paradossalmente con un uso di colori raggiante e un’atmosfera festiva e felicemente caotica.


Scambiato stranamente per opera horror o misteriosa, Aoi Bungaku non ha richiami soprannaturali né ricerca toni dark o plumbei per svecchiare racconti e romanzi che in realtà, pur di fantasia, vertono su spiazzanti innesti autobiografici: il tormento di questi grandi scrittori del passato, divisi tra incomunicabilità, infedeltà e solitudine, è ben visibile in ogni arco narrativo, ed è in fondo la loro vita, camuffata dalle parole, a ergersi forse come principale protagonista e leit motiv della serie. Triste che un'opera così originale e ben fatta non abbia avuto chissà che successo o riconoscimento, né da parte del pubblico né dalla critica2.

Voto: 8 su 10


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag.496-497
2 Come sopra, a pag. 498

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