giovedì 8 marzo 2012

Recensione: Kitaro dei cimiteri

KITARO DEI CIMITERI
Titolo originale: Hakaba Kitaro
Regia: Kimitoshi Chioka
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Shigeru Mizuki)
Sceneggiatura: Yoshimi Narita
Character Design: Naoyoshi Yamamuro
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 11 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 2008


Ultimo sopravissuto della Tribù dei Fantasmi, in grado di andare e tornare dall'Inferno, il piccolo e deforme Kitaro vive insieme a suo padre, reincarnato in un bulbo oculare. Inizia a vivere tra gli umani cercando di fare da intermediario tra loro e le altre presenze mostruose che convivono sulla Terra...

Difficile non approcciarsi, con venerazione e una punta di timore, a Kitaro dei cimiteri, sopratutto se si è i fortunati lettori della pregevole selezione di storie portate in Italia da d/visual nel 2006. Hakaba Kitaro, per importanza nell'immaginario collettivo giapponese, è un fumetto assimilabile al nostrano Topolino: una sterminata lista di storie, horror/grottesche, iniziata nel 1958 in madrepatria e che lì continua fino ad oggi, disegnata dall'autore Shigeru Mizuki in mille versioni che abbracciano ogni target e rivista. Un franchise sterminato, che negli oltre cinquant'anni di pubblicazione trova incarnazioni in film animati, lungometraggi cinematografici con attori in carne e ossa e lunghe serie televisive Toei Animation, 400 e più episodi a cui hanno lavorato, in tutti questi anni, star come Isao Takahata, Shingo Araki e Kaoru Wada. Quest'ultimo torna a curare lo score musicale nella sesta serie televisiva del 2008, l'unica, tra tutte, a essere disponibile al pubblico occidentale grazie al fansub.

Si accennava al timore prima. Una sensazione inevitabile guardando Hakaba Kitaro, che già dal nome enuncia l'abbandono delle atmosfere delle precedenti incarnazioni animate sempre intitolate Ge Ge no Kitaro (Kitaro il ributtante). Mistero presto risolto: Hakaba si basa interamente sul manga originale degli anni 60, il primissimo e il più cupo, dove l'inquietante protagonista non è ancora un eroico scacciamostri che stempera con ironia e gag le atmosfere tenebrose. Con Hakaba Kitaro Toei torna dunque alle origini trasponendo i primissimi episodi, parte di quelli che abbiamo letto in Italia. Saggia scelta considerando la loro età? Reggeranno bene lo scorrere del tempo? Nel manga, bisogna dirlo, la risposta è sì. Sarà il fascino retrò, saranno i disegni sgraziati ma espressivi, saranno i colori e la regia delle vignette che ricordano gloriose riviste horror di un passato che non c'è più, sarà lo stesso carisma del menomato e divertente Kitaro... Rimane da sè, insomma, che si assiste tutt'ora affascinati a quei brevi episodi, sempre in bilico tra horror e commedia nera, che vedono il giovane protagonista andare e tornare dall'Inferno, affrontare mostri (che pescano dal folklore giapponese ed europeo) e prendere in giro sciocchi umani lungo il suo pelegrinare, accompagnato dal paparino, che vive sottoforma di bulbo oculare parlante con gli arti, e l'infido e puzzolente Rattus che cerca sempre di sfruttare il ragazzo per i suoi comodi. Avventure estremamente divertenti e tenebrose, dove non mancano dialoghi brillanti e una sottile, perfida cattiveria con cui l'autore si riallaccia alle riviste horror americane degli anni 50 come Tales from the Crypt (più di una volta Kitaro si limita a fare da spalla a un protagonista temporaneo, spesso umano, che è alla ricerca di qualcosa e che poi fa una brutta fine, magari per volontà dello stesso Kitaro). Simpatica ed estremamente consigliata, in sintesi, la selezione di storie disponibili anche in Italia. Peccato che la trasposizione animata non le abbia reso un buon servigio.


Operazione nostalgia: questo sembra risultare, alla fine degli 11 episodi che compongono Hakaba Kitaro, l'intento di Toei Animation. Un'opening geniale (brano dance con di sottofondo le vignette del manga originale colorate in modo psichedelico: da assuefazione), uno strato di polvere e sporcizia sovrapposto ai fondali (a sottolineare l'effetto vintage) e inquietanti litanie di flauti e shamisen come colonna sonora (Kaoru Wada, la solita garanzia) riverberano i fasti del più famoso manga horror del mondo. Eccellenti antipasti di un piatto mal riuscito, perché Kitaro dei cimiteri è semplicemente freddo. Del tipo che si apprezzano le atmosfere vintage ma si sbadiglia di gusto. Questione non della qualità delle storie, ma dell'operazione di ammodernamento. La lettura dell'originale è favolosa per la spigliatezza delle gag e il carisma del grottesco tratto di Mizuki: l'anime diluisce le trovate umoristiche, le battute e i siparietti nei tempi e nelle pause propri dell'animazione seriale, nell'ottica di un design grafico fortemente moderno e (nonostante l'artifizio dello strato di polvere) patinato. Sicuramente si può pensare che, forse, le primissime storie di Kitaro non siano molto ispirate (impossibile saperlo visto che non tutte sono presenti nell'antologia d/visual): quelle della ragazza-gatto e del sosia di Kitaro, ad esempio, sono imbarazzanti per mancanza di senso e umorismo, così come è assurdo come venga liquidato malamente il destino del Dio dell'acqua nei primi episodi. Fa però riflettere il fatto che storie ben più riuscite, come quella del vampiro chitarrista Èlite (curiosamente ribattezzato Johnny nell'anime), folgorante nel fumetto, escano fuori anch'esse scialbe e noiose per colpa di animazioni ordinarie, chara perfettino e regia annoiata. La mia opinione è che forse Kitaro dei cimiteri sia una di quelle rare opere che hanno senso quasi unicamente su carta, dove la loro personalità emerge sopratutto dai disegni e dallo stile di scrittura del mangaka.

Kitaro dei cimiteri, in animazione, sembra essere solo l'ombra dell'originale: un susseguirsi di avventure che, pur basate su idee addirittura brillanti (come l'Università dei mostri del penultimo episodio), non fanno ridere perhé mal si sposano con regia e stile grafico incompatibili con la sua originale freschezza. E per finire, tanto per gettare un'ultima ombra sul lavoro Toei Animation, mi viene anche il dubbio che l'opera non sia così fedele come si vuol far credere. Perché, ad esempio, è stato riletto il celebre episodio La mano con protagonisti totalmente diversi? Non è che Toei ha modificato qua e là mandando alle ortiche l'operazione fedeltà?


Impossibile saperlo. L'unica cosa certa, nel mio caso, è che a malincuore devo sconsigliare questa produzione, anche se è l'unica incarnazione animata di Kitaro dei cimiteri attualmente reperibile in idioma comprensibile. In attesa che qualcuno magari sottotitoli le precedenti (magari quella del 1996 disegnata da Shingo Araki), posso solo consigliare di rivolgersi ai tre volumi editi da d/visual, che danno una buona panoramica del personaggio. E speriamo che presto o tardi qualche editore italiano pubblichi qualcosa di più sostanzioso di tre semplici antologie celebrative.

Voto: 5,5 su 10

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