venerdì 7 ottobre 2011

Recensione: Sacred Seven

SACRED SEVEN
Titolo originale: Sacred Seven
Regia: Yoshimitsu Ohashi
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Shin Yoshida
Character Design: Mutsumi Inomata (originale), Eiji Nakata, Yuriko Chiba
Mechanical Design: Ippei Gyōbu
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2011

 
Alma Tandoji è uno studente delle superiori che, dopo una tragica esperienza, vive solitario in casa. Reca in sé una misteruosa forza che cerca di nascondere alla gente: apprenderà dall'organizzazione segreta CEO che la sua è la forza del Sacred Seven, derivato dalla caduta, 17 anni prima, di meteoriti contenenti cristalli, le Darkstone, capaci potenziare enormemente il DNA degli individui. Ruri Aiba, presidentessa della CEO, è l'unica in grado di risvegliare la massima potenza del ragazzo, e non perde tempo a farlo quando le altre Darkstone si risvegliano e iniziano a molestare gli innocenti...

Prendete la trama più banale che c'è, inseriteci protagonisti orribilmente stereotipati e schiaffiate il marchio Sunrise bene in vista per i gonzi: Sacred Seven è pronto alla visione. Un'opera che non smette di stupire per l'enorme senso di vuoto che trasmette, ben attestando, nel 2011, la crisi creativa di uno dei più importanti studi d'animazione giapponesi. Un protagonista tonno (nel senso che non si pone mai domande, non ha alcuna personalità, è succube degli avvenimenti), forte di incredibili poteri, scopre che deve usarli per sconfiggere le malvagie Darkstone. Va bene. Reclutato da un'organizzazione e stretto particolare feeling col capo, la giovane e piatta Ruri dagli orribili, lunghi capelli arancioni pieni di boccoli, si adopera, puntata dopo puntata, a distruggere le perfide pietre extraterrestri. Va bene. Forse ha anche fatto colpo su una compagna di classe, la presidentessa del club di geologia che ha l'hobby di cercare ciottoli per la sua collezione di sassi (???), ma sembra che la cosa non abbia ripercussione. Andiamo avanti. Tra i co-protagonisti c'è il ridicolo maggiordomo di Ruri, Kagami, ovviamente innamorato di lei, e anche una Darkstone parlante che dà consigli non rischiesti. Vabbè. Contorno di altre organizzazioni segrete alleate che forse non sono così buone come sembrano, e un cattivo che in verità non è un cattivo ma proprio un bravo ragazzo, fisicamente identico a Light di Death Note e sempre inquadrato in posizioni da tragedia greca per sottolineare quant'è figo.


Ovvio che da una trama da cui rieccheggiano echi così forti di My-Hime (la ricerca delle Darkstone e le atmosfere generali) e s-CRY-ed (lo spunto di partenza e i combattimenti volanti col culto del pugno, ma il paragone migliore sarebbe il mitico Strider videoludico di CAPCOM visto l'abbigliamento dell'eroe quando è trasformato) non ci si possa aspettare nulla di particolarmente originale, ma in un minimo di personalità speravo. No: Sunrise si limita ad animare una storia insignificante con tanti soldi, come se credesse alla bontà del ridicolo soggetto, e ne ricava uno shonen incredibilmente banale e svogliato, dove personaggi amebici non fanno altro che recitare le stesse battute di copioni visti in altre serie. E la visione è priva della benchè minima empatia, del minimo interesse, non vi è alcuna voglia di sapere come si evolverà la vicenda.

Forte della cura tecnica del prodotto e del consueto, accattivante e bugiardo brano j-pop da hit (Stone Cold delle FictionJunction) per attirare le masse, Sunrise non ci prova neanche una volta a cambiare disco, a tentare di riscattare Sacred Seven dall'imbarazzante anonimato. Ed è solo un susseguirsi di stereotipi (gita al mare e conseguente disperdersi del gruppo in una grotta: wow! Darkstone attacca eroi durante festival scolastico e bisogna stare attenti a non rivelare a studenti la propria identità: wow! Eroe e eroina, con inganno, finiscono col passare insieme la giornata in un tenero appuntamento: wow!) e idiozie così assurde che, se ci si fermasse a rifletterci con approccio critico, dimenticandosi che la serie è per ragazzini, sarebbe da imporle una damnatio memoriae. È così facile comprare un istituto scolastico? Perché nei flashback raccontati da alcuni personaggi apprendiamo anche fatti che loro non possono sapere? Come può un ragazzo cercare PER ANNI, in un fiume, un pendolo perso da tempo immemore? Incoerente anche il fanservice: si può sospendere l'incredulità sul fatto che la CEO è formata da ragazze vestite da cameriere (la moda tipicamente giapponese per le meido), ma a che scopo se questa idea non è minimamente sfruttata, se l'elemento sexy praticamente non esiste? Le ragazze appaiono talmente poco e in inquadrature così sobrie da lasciare indifferenti.


Per concludere, si pensava fosse impossibile esistesse qualcuno capace di apprezzare questa seriaccia estiva, eppure ancora una volta il pubblico giapponese riesce a stupire: Sacred Seven deve aver coltivato del successo se Sunrise ha tirato fuori, già l'anno dopo, il consueto film celebrativo. Al peggio non c'è proprio mai fine.

Voto: 4,5 su 10

SIDE-STORY
Sacred Seven: Kight Edition (2012; film)

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