mercoledì 6 luglio 2011

Recensione: Triton of the Sea (Toriton)

TRITON OF THE SEA
Titolo originale: Umi no Triton
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Osamu Tezuka)
Sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino, Masaki Tsuji, Seiji Matsuoka, Yuki Miyata
Character Design: Yukiyoshi Hane
Musiche: Hiromasa Suzuki
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 27 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 1972


Yoshiyuki Tomino è un nome che non ha bisogno di presentazioni: sono stati ben pochi i direttori artistici capaci di rivoluzionare l'industria animata e il genere robotico svecchiando in modo radicale lo schema "monster of the week" dal suo immobilismo, elaborando (pur in modo indiretto) la teoria dei robottoni realistici, creando (pur controvoglia) con Gundam la più famosa e longeva serie mecha di sempre, inventando nelle sue opere nuovi stilemi narrativi che saranno usati da altri studi e costituendo, con moltissimi dei suoi lavori, la principale ispirazione per diverse dei più acclamati anime di sempre (Neon Genesis Evangelion e The Vision of Escaflowne su tutti). La caratura dei suoi titoli più importati, tutti o quasi prodotti da Sunrise nell'arco di 40 anni, che lo proiettano nell'Olimpo dei migliori registi, fa però spesso dimenticare gli altri che ha diretto, o scritto, prima di quel 7 aprile 1979 nel quale, sul canale Nagoya Broadcasting Network, avrebbero debuttato le tragiche avventure di Amuro Ray che gli avrebbero dato fama. Non capolavori, ma opere di indubbio interesse e personalità che già, per idee innovative, lentamente costruivano le fondamenta della sua leggenda. Il debutto come regista titolare - dopo gli episodi singoli di Astro Boy (1963) - ha luogo con la serie televisiva Triton of the Sea (come l'adattamento italiano sia riuscito a ribattezzarlo Toriton, basandosi sulla pronuncia giapponese di Triton, rimane uno dei più inquietanti misteri della nostra penisola), molto lontanamente basata sull'omonimo fumetto disegnato tra il 1969 e il 1971 da Osamu Tezuka.

Il "Dio dei manga" voleva trasporre personalmente la sua opera e, in preparazione a questo, aveva già fatto produrre nel 1971 un piccolo corto di 8 minuti, ma tra quell'anno e il 1972 Mushi Production si incamminava sulla via della bancarotta e, nella speranza di poter saldare tutti i debiti, non se la sentiva di imbarcarsi nella costosa produzione di un altro anime. I diritti di sfruttamento sarebbero quindi passati alla compagnia musicale Office Academy di Yoshinobu Nishizaki, general manager di Tezuka, che dava il via al progetto fondando appositamente uno nuovo staff interno alla Mushi che faceva riferimento a lui, lo Staff Animation Room (anche se alla fine, per questioni sconosciute, le animazioni della serie saranno invece appalatate a Toei Animation), e per l'occasione dando totale carta bianca a Tomino, il regista designato, riguardo a come scriverlo e dirigerlo1. Se ne sarebbe pentito: a 30 anni, evidentemente pieno di energie e voglia di osare, il regista cura personalmente gli storyboard di tutti gli episodi2, detta le linee guida da seguire nella sceneggiatura e, specialmente, stravolge interamente la storia originale riscrivendola praticamente da capo, indispettendo Tezuka (che prenderà completamente le distanze dal prodotto nei free talks pubblicati nelle edizioni successive del manga3) e facendo infuriare la produzione per un finale spiazzante4. Gli ascolti finali saranno bassi e nel complesso la serie si rivelerà un flop5, ma nonostante questo essa diverrà, per motivi che vedremo, un piccolo titolo cult amato da nutriti gruppi di appassionati6, compreso Tomino, che almeno fino al 1999 (dopo non ho altre informazioni) lo definirà, curiosamente, il suo lavoro migliore7. Lui stesso all'epoca si difenderà dalle critiche di "tradimento" verso Tezuka riferendosi al manga come di una delle sue storie meno memorabili e doverosa di modifiche8, e in questo, almeno, non gli si può dare proprio torto!

Oggi disponibile per la lettura anche al pubblico occidentale, l'originale Triton of the Sea si rivela in effetti un lavoro strano e contraddittorio. La guerra marina dei giovani Triton e Pippy, ultimi sopravvissuti dell'antichissima tribù dei tritoni (mezzi uomini e mezzi pesce), a capo di un esercito di delfini, contro il malvagio re dei mari Poseidon (autore dello sterminio della loro razza e che anela al dominio non solo dei mari ma anche delle terre emerse muovendo guerra al genere umano) trova un intreccio tanto articolato quanto bizzarro, dato da una sceneggiatura scritta di getto, settimana dopo settimana,  senza una vera idea del dove andare a parare (esemplare l'enorme spazio dato al fratello adottivo umano di Triton, Kazuya Yasaki, che poi sparisce dalle scene e ricompare pochissimo senza rivestire alcun ruolo degno, confermando il fatto che inizialmente doveva essere lui il vero protagonista, salvo ripensamento dell'autore in corso d'opera9). Nei 4 corposi volumi del fumetto troveremo, scomposte, ogni genere di atmosfere e narrazioni: momenti avventurosi e simil-action (non penso esistano altre opere di Tezuka così improntate sui combattimenti) frammentati da lunghe sequenze di vita privata e familiare, tematiche ecologiche e sociali buttate lì a casaccio, momenti trucidi accompagnati a gag di un infantilismo clamoroso, idee e sottrotrame accennate e subito abbandonate (non solo il citato Kazuya, ma anche ad esempio i 33 figli di Poseidon che Triton deve sconfiggere, l'umano cinico che vuole catturare i tritoni inserito a forza in una trama in cui non c'entra niente, e un altro gran numero di ulteriori personaggi che hanno uno spazio insolito contando il loro ruolo marginale), improbabili dei ex machina che risolvono in un lampo tutti i problemi in base a quando gli interessa farlo, intense sequenze trash/grottesche (la "macchina di riproduzione sessuale" di Poseidon e i disgustosi fatti che avvengono con la sirena-spugna, la nascita dei figli di Triton, lo shuttle custodito nella base marina di Poseidon) e, infine, un presupposto su cui si basa la vicenda totalmente irrealistico (in barba alla laurea in medicina dell'autore, l'eroe e Pippy hanno il dovere loro due da soli di far rifiorire la razza dei tritoni). Triton of the Sea sembra proprio un titolo scritto in un periodo "a metà" tra il Tezuka infantile e ingenuo e quello maturo che poi partorirà i capolavori mondiali che ben sappiamo.


In animazione, Tomino non segue nulla dello sbilenco fumetto: elimina il 95% del cast (rimangono solo Triton, Pippy e i loro amici delfini, mentre Poseidon appare un attimo ma ha un aspetto fisico completamente diverso e i suoi uomini non sono quelli del manga) e praticamente il 99% degli avvenimenti, riducendo all'essenziale la vicenda e acuendo le dinamiche mitologiche (le razze di Triton e Poseidon sono legate, come nel fumetto, all'antica civiltà di Atlantide) e l'azione. Il Triton of the Sea televisivo ritrova solo il presupposto iniziale: è di nuovo la storia di un ragazzo che, scopertosi l'ultimo superstite della razza dei tritoni e aver ereditato da suo padre (questa invece è un'invenzione) come arma di difesa un taglientissimo, indistruttibile pugnale di oricalco, inizia con la delfina Ruka un fantastico viaggio per i mari in cerca di altri sopravvissuti della sua razza, affrontando nel contempo gli emissari inviatigli contro da Poseidon che vuole estinguere la sua specie una volta per tutte (invece di cercare di conquistare il mondo). In barba alla ramificata storia del manga e al suo enorme e inutile cast, abbiamo un protagonista eroico e generico che in ogni puntata vaga da un mare all'altro insieme a Pippy (mantenuto è il ridicolo spunto di loro due che si incaricano di far rifiorire la scomparsa razza) e sconfigge in duello i generali nemici fino allo scontro finale.

L'aspetto grafico, estremamente vintage, e la cura tecnica non sono terribili: fedeli ai dettami del "Dio dei manga", i disegni si rivelano tanto semplici quanto dolci ed espressivi, le animazioni addirittura deliziose nella loro artigianale professionalità (è il periodo in cui anche le tecniche di animazione sono embrionali, realizzate nel modo più macchinoso e visivamente appariscente). Gli spunti narrativi, poi, aggiunti dallo staff, sono notevoli: se già non bastassero di loro gli affascinanti (sulla carta) combattimenti tra Triton e i mostri di Poseidon (squali, cernie giganti o piovre mastodontiche nella miglior tradizione di Jules Verne), non mancano neanche riflessioni adulte molto più sensate che in origine. Si può pensare, per esempio, alle implicazioni psicologiche, per i due protagonisti, dell'idea che un giorno dovranno unirsi anche se non vogliono per poter ridare vita alla stirpe dei tritoni; all'impianto drammatico spesso tragicissimo - tipico di quegli anni - per cui, per enfatizzare il dramma della guerra, si vedono spesso morire (e con abbondanti flussi di emoglobina) personaggi positivi e "intoccabili" come donne, bambini e comprimari graziosi; e soprattutto, si può pensare a come sono molto più approfondite e "presenti" le tematiche care a Tezuka come l'amore per la natura e gli animali, il rispetto dell'ecosistema e i danni dell'inquinamento della civilità umana. Inevitabilmente cult poi l'accennato "colpo di scena finale", nell'ultimo episodio, che praticamente rovescia tutto il senso della storia, quel twist inventato da Tomino che farà incazzare i produttori e che lui, sagacemente, giustificherà come elemento di personalità dato a un anime che, perso per perso (lo share era impietoso), tanto valeva cercare di riscattare rendendolo unico10. Almeno in suddette questioni, il Triton of the Sea di Tomino è a mio modo di vedere decisamente più interessante di quello di Tezuka.

Peccato che questi elementi gustosi siano incatenati da uno schematismo narrativo preistorico e figlio dei tempi, basato su canovacci sempre uguali che vedono Triton litigare con Pippy per qualche futile motivo, quest'ultima fare l'offesa e andarsene, quindi venire minacciata dai sicari nemici e infine essere salvata in extremis dall'eroe (in alternativa, i due stringono amicizia con una creatura, umana o animale, si interessano ai suoi problemi e infine affrontano ugualmente gli emissari di Poseidon, e la cosa costerà la vita al loro amico). Tutto questo per 25 episodi monotoni e ripetitivi, a sottolineare l'antipatica leggenda metropolitana (che contiene comunque un fondo di verità) che per cogliere, in un certo modo, il senso della storia di queste tipiche produzioni settantine, bastava vedere solo la prima e l'ultima puntata. L'ironia finale verte sul fatto che, pur con questi sfibranti automatismi, Triton è una delle primissime serie animate di avventura/azione a contemplare una seppur piccola continuity generale: anche se con enorme, straziante lentezza (soprattutto per uno spettatore odierno), la storia generale si sviluppa gradualmente abbandonando il classico immobilismo delle puntate autoconclusive, spiegando di volta in volta cosa ha portato Triton a vagare da un mare all'altro e cosa è successo precedentemente, col paradosso che si è ipotizzato che sia stato proprio questo ad aver originariamente decretato il flop di ascolti, ossia per la difficoltà dei giovanissimi spettatori di seguire una storia in perenne evoluzione ripartita in episodi settimanali, in cui perderne uno rendeva un filo meno chiara la comprensione generale11. Veri o falsi i motivi della débâcle commerciale, il merito di questa avveniristica struttura narrativa spetta alla coppia regista/produttore Tomino/Nishizaki (è stata voluta da loro), e proprio quest'ultimo, resosi conto che in effetti Triton era per questo motivo seguito più da adolescenti che bambini (nonostante le intenzioni inverse), riuserà l'artifizio due anni dopo ne La Corazzata Spaziale Yamato (1974), concepito appositamente per i primi12.

Al problema della sfiancante pedanteria della storia bisogna poi aggiungere tutte le inevitabili ingenuità delle produzioni dell'epoca: l'estrema antipatia dei due piccoli eroi, data dalle loro voci squillanti e dal fatto che urlino per ogni cosa (anche 10/12 volte a puntata); il setting oceanico per niente sfruttato (i fondali marini si presterebbero benissimo alla suggestione visiva grazie a barriere coralline, pesci multicolori, abissi et similia, ma sono liquidati con anonimi massi e rocce al punto che ogni oceano non ha elementi di differenziazione rispetto agli altri); e soggetti di episodi tanto intriganti sulla carta quanto superficiali nella resa (le riletture di Moby Dick e Shadow over Innsmouth, la vicenda dell'archeologo che rinviene reperti della civiltà atlantidea, la nave fantasma). I chiodi sulla bara sono rappresentati dall'accompagnamento musicale snervante, dato da tre brani prog/jazz in croce ripetuti ossessivamente; un cast di comprimari insignificante come quello del manga e dialoghi dal registro infantilissimo, resi ulteriormente terribili da interpretazioni vocali talmente surreali (leggasi: vocette) da sconfinare nel ridicolo (le meduse e i cavallucci marini alle dipendenze di Poseidon). Insomma una tortura, che forse non sarà recepita come tale dal pubblico di bambini dell'epoca a cui era rivolta, ma dai loro successori odierni sicuramente sì.


Non vi è dubbio che nel 1972 Triton of the Sea possa, per la sua morale ecologica, l'onnipresente vena drammatica e il suo bel finale "a sorpresa", aver avuto la sua dignità, ma lo stile del fare animazione è talmente cambiato che, oggi, visioni simili a questa, interessanti nei contenuti ma deficitarie nel coinvolgimento, reggono ben poco lo scorrere del tempo, rivelandosi pressoché (o almeno a tratti) inguardabili. Rimarrà perciò agli atti una produzione più o meno sconosciuta e di un certo interesse, ma solo per i tominiani (dubito assai i tezukiani) convinti, quelli che non vogliono perdere nulla dei loro autori preferiti. Nel 1979, sotto l'egida di Toei Animation (ormai subentrata a Mushi e Academy Production nella gestione dei diritti dell'opera), esce il lungometraggio che riassume l'intera serie, nato, come quello del 1977 de La Corazzata Spaziale Yamato, per tentare di riabilitare commercialmente il titolo nelle sale13. Non riuscirà nel suo intento.

Doveroso mettere una buona parola per l'adattamento italiano della serie, basato su un doppiaggio superlativo assolutamente IDENTICO, nei timbri vocali e nella musicalità della voce, ai seiyuu dell'epoca (che l'effetto finale fosse poi colpa di questi ultimi per il pessimo lavoro in originale è un altro discorso). Anche il senso delle frasi, come sempre semplificato, non fa perdere di una virgola il significato dei dialoghi originali, presentando addirittura nomi fedeli.

Voto: 6 su 10

ALTERNATE RETELLING
Triton of the Sea (1979; film)


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 66, e pagina di Wikipedia giapponese di "Triton of the Sea" gentilmente tradottami da Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit). L'informazione del film pilota viene invece da "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition" (Jonathan Clements & Helen McCarthy, Stone Bridge Press, 2012, pag. 676)
2 Consulenza di Garion-Oh
3 Pagina di Wikipedia giapponese di "Triton of the Sea"
4 Vedere punto 2
5 Vedere punto 2. Confermato dal saggio "Anime al cinema" (pag. 67)
6 "Anime al cinema", pag. 67
7 Kappa Magazine n. 83, Star Comics, 1999, pag. 15. Confermato da Garion-Oh
8 Vedere punto 3
9 Come sopra
10 Vedere punto 2
11 Riportato in un vecchio articolo della rivista "Yamato" intitolato "Ultimi bagliori dell'anime boom", pubblicato integralmente sul sito encirobot.com (http://www.encirobot.com/bald/bald-cur.asp). La cosa è confermata anche dal saggio "Anime al cinema" (pag. 66-67)
12 Vedere punto 6, a pag. 68
13 Vedere l'articolo del punto 11

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