venerdì 1 luglio 2011

Recensione: Strait Jacket

STRAIT JACKET
Titolo originale: Strait Jacket
Regia: Shinji Ushiro
Soggetto & sceneggiatura: Ichiro Sakaki (basato sui suoi romanzi originali)
Character Design: Yoh Fujishiro (originale), Yoshinori Yumoto
Mechanical Design: Hideki Fukushima
Musiche: Takeshi Yanagawa
Studio: Feel
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 27 min. circa)
Anno di uscita: 2007


In un’Europa di fine Ottocento, dove strabilianti tecnologie a vapore convivono con magie e incantesimi, la pace è minata dai continui attacchi di mostruose creature demoniache, bestie deformi e gigantesche nelle quali viene tramutato chi abusa dei poteri magici. Una speciale squadra di polizia, incaricata di porre fine a queste minacce, mette al servizio dei cittadini i cosiddetti Tactical Sorcerist o Strait Jacket, potentissimi guerrieri muniti di armatura e armi magiche. Tra questi, due sono le figure di spicco, Isaac e Rayotte, colleghi e rivali…

Tra macchinari a vapore sfruttati per indossare massicce armature, giganteschi demoni che ricordano il bestiario firmato Kentaro Miura e fucili lunghi tre metri che sparano incantesimi devastanti, sono così tanti gli spunti scaturiti da Strait Jacket (2007) che si rimpiange l’esigua durata di quest’opera poco conosciuta limitata a 3 miseri episodi. Pur presentando una trama adeguata che si risolva in poco meno di ottanta minuti, è piuttosto sostanzioso il potenziale inespresso, percepibile negli scenari steampunk e nel background storico-politico, elementi che l'ideatore/sceneggiatore Ichiro Sakaki (non nuovo al genere in quanto autore delle light novel da cui è stato tratto nel 2003 Scrapped Princess) è costretto ad accennare soltanto lievemente per non soffocare il plot generale, già di suo ingabbiato. Inevitabile quindi una certa amarezza nel doversi accontentare di una semplice storia di vendetta con contorno di mostri colossali, quando era proprio negli aspetti di contorno che Strait Jacket sembrava offrire idee curiose e stuzzicanti.

Scritto in maniera agevole e veloce, cercando un equilibrio tra riflessioni introspettive e fulminanti istantanee d’azione, Strait Jacket ottiene il massimo di sé proprio durante gli impressionanti scontri tra Tactical Sorcererist e bestioni demoniaci. Poco più che un riciclo di cliché ma comunque ben infiocchettata la sostanza narrativa (Isaac bello e buono che protegge la sorella debole e ingenua, Rayotte tenebroso e poco ligio alle regole), con mostruosi demoni che riempiono lo schermo con esaltanti deformazioni fisiche, grossi tentacoli, corna, zanne e bocche ghignanti, squartando e uccidendo senza lesinare in sangue, abbondantissimo, e macellazioni di ossa e frattaglie. Poco importa che dispongano di un ruolo meramente esibizionista: data la potenza distruttiva dei Tactical Sorcererist, le creature ammazzano qua e là per poi venire irrimediabilmente trucidate senza difficoltà con bordate di fuoco magico, piace però la creatività organica con cui vengono modellate e discretamente animate, e la loro sinistra follia nel balbettare parole e caso durante le carneficine.


Piace un po’ meno la credibilità dell’ambientazione di fine Ottocento, che si rendeva in qualche modo necessaria per contestualizzare i macchinari a vapore e un certo scenario geografico, ma che traballa un poco per l’eccessiva tecnologia raggiunta (automobili e camion che sfrecciano sulle strade, per non parlare degli armamentari esagerati a disposizione dei Tactical Sorcerist) e per un chara fascinoso ma non molto rispettoso di usi e costumi di quegli anni. Si tratta comunque di dettagli di poco conto, considerando il fulcro dell’opera, e si rimane presto sedotti dalle vestizioni vaporose dei tecnomagi e dalle sanguinose lotte con i mostri, ma anche da una trama che riserva un inaspettato buon sviluppo, concreto e pieno, nell’ultimo episodio. Sul versante registico, Shinji Ushiro si rende criptico e visionario nella prima puntata, inserendo frammenti distorti e disturbanti per creare disordine, ma la sua carica impazzita, peraltro di una resa non soddisfacente, svanisce presto in favore di una pulizia, seppur obbligata a brusche accelerazioni, sufficientemente scorrevole. Menzione invece particolare per le buonissime musiche di Takeshi Yanagawa, che si serve sia di fiati e pompose orchestrazioni per una riuscita impronta cinematografico, sia di claricembali, chitarre acustiche e flauti per un mood folkeggiante e sognante.

Con una serie lunga anche solo una dozzina di episodi, Strait Jacket avrebbe potuto brillare dando gusto e sapore a ingredienti di certo non originali ma ben mescolati. Con solo tre puntate a disposizione, invece, l'accoppiata Sakaki/Ushiro fa quanto può, creando un’opera comunque sfiziosa per chi cerca miscugli di generi e non disdegna una buona dose di splatter.

Voto: 6,5 su 10

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