domenica 12 giugno 2011

Recensione: Il mio vicino Totoro

IL MIO VICINO TOTORO
Titolo originale: Tonari no Totoro
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Hayao Miyazaki
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 86 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red



Satsuki Kusakabe e la sorellina Mei si trasferiscono insieme al padre in una casa in campagna, nel paesello di Tokorozawa, che ha la fama di essere infestata dai fantasmi. Le due vivono comunque il confronto con l’ignoto con la spensieratezza della loro giovane età e al contempo attendono il ritorno della madre, ricoverata in ospedale a causa della sua salute cagionevole. Un giorno Mei, inseguendo due misteriose creature dei boschi, raggiunge la tana di un enorme e bizzarro animale, cui dà il nome di Totoro. Sembra che solo lei però riesca a percepirne la presenza, ma gli eventi permetteranno anche a Satsuki di avere il suo contatto con queste magiche creature...

Il parere del Di Giorgio

Ventun anni non hanno scalfito la statura di autentico classico dell’animazione che Il mio vicino Totoro (1988) si è nel frattempo guadagnato in patria e all’estero: riscoprirlo oggi, grazie alla distribuzione voluta dalla Lucky Red, ci mette infatti di fronte a un’opera vivace e matura, che non patisce i confronti con l’evoluzione del linguaggio né tantomeno il paragone con i più recenti lavori di Hayao Miyazaki. D’altronde lo sappiamo bene: la grandezza dell'autore sta tutta nel suo porsi già come classico nel momento della creazione, al punto che ogni suo lavoro si distanzia dalla produzione contemporanea per parlare un linguaggio universale e trasversale alle epoche. In questo senso non stupisce notare come il film si ponga esso stesso al crocevia di istanze tra loro differenti: l’ambientazione non tradisce elementi tali da potersi collocare in un tempo preciso, volge più al passato che al presente sebbene riverberi sicuramente una spinta verso il domani. La prospettiva non a caso è quella offerta da due bambini in un mondo che relega gli adulti in ruoli di contorno, figure lontane che si fanno attendere (alla fermata del bus, a casa per un ritorno dall’ospedale che viene procrastinato) e che per questo si stagliano come le figure deboli di un racconto dominato dai più piccoli.

Ancor più che in Ponyo sulla scogliera (2008), Miyazaki adotta una narrazione ad altezza di bambino, evidente soprattutto nel registro lessicale e nella fisicità delle due protagoniste, che esprimono i concetti con l’ausilio di gesti enfatici, urlando la loro gioia e dando vita a una sinfonia di suoni vitalistici che il film sente naturalmente come propri. L’aspetto più interessante, però, sta nella sua distanza da ogni possibile soluzione di continuità che marchi il limite fra il reale e il fantastico. Sebbene sia già presente l’idea della “soglia da attraversare” (come nel futuro La città incantata, 2001) per accedere alla tana del Totoro, il film non soggettivizza l’esperienza fantastica, ma la rende organica al ciclo della vita e della natura, in ossequio a quella componente animista che troverà il suo apogeo nel capolavoro Principessa Mononoke (1997, e viene spontaneo vedere Totoro come una variazione kawaii dello spirito dei boschi, “Colui che cammina nella notte”). Le creature fantastiche del film, quindi, non abitano alcun altrove, ma vivono normalmente attorno a noi e l’unico confine possibile che si possa tracciare è quello interno alla nostra capacità di percepirne la presenza. Come i Nerini del Buio che tendono a fuggire alla presenza della luce per abitare gli interstizi delle case, così i vari personaggi che il film mette in scena tendono a preservare una propria autonomia che alla bisogna può però diventare aperta condivisione di intenti: il registro si fa in questo caso ironico (l’attesa del Totoro con l’ombrello alla fermata dell’autobus), favolistico (la scena del volo, immancabile in qualsiasi film di Miyazaki) quando non direttamente avventuroso e velatamente drammatico (la corsa di Satsuki a bordo del Gattobus alla ricerca di Mei, o anche quella verso l’ospedale).


Il tutto viene a correlarsi con precise scelte di regia, che adottano un tono mediamente più ragionato del solito, con ritmi lenti che sembrano guardare più all’intimismo realista delle opere di un Yasujiro Ozu che alla magniloquenza di quel Kurosawa cui l’opera di Miyazaki è sempre stata accostata. D’altronde Il mio vicino Totoro nasce come pellicola secondaria rispetto al contemporaneo progetto di La tomba delle lucciole, del quale sembra costituire uno speculare positivo: qui come lì due giovanissimi protagonisti, uniti da un legame di fraternità, devono infatti affrontare le incognite di una vita priva di figure di riferimento. Per questo Miyazaki sembra cercare un tono più raccolto, intimo, che razionalizzi in un andamento orizzontale gli andirivieni tra realtà e fantasia e dove le scene di puro lirismo fantastico esplodono improvvise, con una gioia incandescente, ma non assumono mai un ruolo da protagonista rispetto a una storia pure volutamente poco articolata.

L’insieme riesce perciò nel delicato equilibrio di produrre la fascinazione per i temi propri della poetica di Miyazaki ma con una prospettiva che appare, ancor più dopo aver visto gli sviluppi successivi, originale pur nel suo anticipare quello che verrà. E la buffa immagine del Totoro (divenuto non a caso il simbolo stesso dello Studio Ghibli) è una di quella che non si dimenticano, insieme al già citato Gattobus, che rielabora in modo molto personale lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie.

Voto: 8 su 10

Il parere del Mistè

È difficile giudicare serenamente un film di grande notorietà e vincitore di così svariati premi di critica come Il mio vicino Totoro, almeno senza anteporre doverose considerazioni nei criteri di giudizio da adottare. Si tratta di un film che Hayao Miyazaki ha voluto realizzare sin dal 1985, anno in cui, dopo il grande successo, nel 1984, di Nausicaä della Valle del Vento (ma prima di fondare Studio Ghibli), lo aveva proposto a Tokuma Shoten, ricevendo secchi rifiuti perché era commercialmente troppo difficile1. Avrà modo di rifarsi qualche anno dopo, nel 1988, quando, per una serie di circostanze incredibili, dopo averlo realizzato grazie all'indipendenza creativa fornitagli dal suo studio personale, manderà nei cinema il suo film insieme al capolavoro di Isao Takahata, La tomba delle lucciole, in una assurda doppia proiezione. La cosa è assurda non solo per il fatto di avere il compito di compensare le spese di realizzazione di due filmoni costissimi al costo di un solo biglietto (e infatti il risultato sarà che, con circa 1 miliardo e 200 milioni di yen d'incasso complessivi, il box office permetterà giusto di ripagare, e a stento, le spese di realizzazione di Totoro2), ma anche di scioccare le platee di bambini con due storie che non potrebbero essere più distanti fra di loro: una favola sognante da una parte, un dramma tragico e straziante sulla Seconda Guerra Mondiale dall'altra - e infatti le proteste inferocite da parte delle associazioni di genitori si faranno sentire, osteggiando l'operazione e contribuendo al suo flop3.

Esauriti antefatti e curiosità, Totoro è un film significativamente personale per il suo creatore, per molti versi autobiografico: ambientato nel Giappone degli anni '50 dello scorso secolo, racconta la storia delle due sorelline Kusakabe, Satsuki e Mei, che si spostano a vivere insieme al padre in un paesino di campagna, Tokorozawa, in attesa che la madre, gravemente ammalata e ricoverata in ospedale, venga dimessa e possa tornare a vivere con loro. Non solo le due piccole sono plasmate sulle personalità delle figlie del regista4 e non solo Tokorozawa è il paesello in cui Miyazaki viveva (e forse ci vive ancora) all'epoca della realizzazione del lungometraggio5, ma lo stesso autore da piccolo ha anche subito il dramma di avere per lungo tempo la sua mamma quasi sempre ricoverata in ospedale, ammalata di tubercolosi spinale6. Con questo commovente background, l'autore dipinge la vita dei tre, immersi nella tranquillità eterea della campagna, che trovano serenità e realizzazione a contatto con le piccole cose e il senso di sicurezza e gioia trasmessogli dalla famiglia e dalla gentile comunità di agricoltori che vivono in zona. Quasi rifacendosi allo spirito delle opere di Takahata, Miyazaki racconta una storia introspettiva, retta su un'ottima analisi comportamentale dei personaggi e su dialoghi molto spontanei e umani. La personalità dei componenti dei Kusakabe è superbamente resa anche dal linguaggio del corpo, meravigliosamente resa da solenni animazioni che trasmettono vitalità alle due energiche bambine e posato senso di pacatezza al padre. Le tracce sonore "agresti" di Joe Hisaishi, d'altro canto, forniscono ideale colonna sonora alla flora, volutamente "adagiate sullo sfondo", in accordo con l'approccio minimalista assunto dalla vicenda.

Puramente miyazakiana e lontana dalla filosofia di Takahata, invece, è l'idea di fondere i meccanismi dello slice of life con quelli del genere fantastico, creando una dimensione favolistica che esalti l'innocenza dell'infanzia, momento della vita metaforicamente inquadrato, dall'autore, come ponte "magico" verso l'età adulta,  unico momento della vita in cui Satsuki e Mei possano prendere contatto con le creature fantastiche che vivono da sempre a contatto con l'uomo (secondo i dettami dello shintoismo, religione che, si sa, è la più diffusa in Giappone), ma che non si rivelano più mano a mano che si diventa adulti perdendo la spensieratezza. Il Totoro è lo spirito dei boschi, enorme roditore pigro e buffo e dalle espressioni beote, grazie alla cui divertente presenza le piccole possono distrarsi dai drammi interiori legati alla madre e vivere col padre in una sana vita all'aria aperta, in rispetto della foresta e di ciò che essa spiritualmente rappresenta. L'autore dipinge, con atmosfere sognanti, un inno all'infanzia (momento che, dice esplicitamente7, è il Paradiso dell'esistenza umana, il momento in cui ci si sente protetti e si è innocentemente incoscienti dei problemi che ci circondano) e alla natura, aiutato da uno staff che riesce, con colori ad acquerello e un lavoro certosino in fondali bucolici vicinissimi a quadri paesaggistici, a dare forma concreta alla poesia delle piccole cose. Questo è il merito maggiore del regista e della sua creazione, che per buona della durata della storia raccontano una vicenda deliziosa, incantevole e sognante che non può non piacere a tutti. Le perplessità di chi scrive vertono sul finale, in linea col target dichiarato dei piccoli, ma abbastanza insoddisfacente - ai limiti dell'anticlimatico - per chi ha qualche anno di più.


In sintesi, evocare con forza, nelle parti finali della storia, scenari tragici e strappalacrime, e poi buttare tutto all'aria con un finale rassicurante e giocoso, come non fosse successo nulla di rilevante (e infatti proprio così, alla fine, è), significa un po' tradire le aspettative di chi si aspettava qualcosa di più maturo di quello che Totoro effettivamente è, evocando una fastidiosa sensazione di incompletezza, come se mancasse qualcosa di fondamentale e memorabile in una storia che parla di come due bambine dal presente drammatico incontrino gli spiriti della foresta che le consolano della loro situazione... e così rimane fino alla fine senza variazioni, in un intreccio senza un reale "sbocco". Certo, alla fine nessuno può dire che questa scelta sia stata uno sbaglio per il regista (ha semplicemente voluto mantenere un approccio positivo alla vicenda, probabilmente in linea col target principale), è da rispettare, ma assume i contorni di una delusione per il pubblico più cresciuto, per il suo far presagire una svolta molto toccante che poi non avviene, rendendo nel complesso Totoro un gran film sicuramente per i piccoli, ma decisamente di meno per i grandi, che lo apprezzeranno solo relativamente (rispetto a tanti altri film dello stesso Miyazaki, bellissimi in ugual modo sia per l'uno che per l'altro).

Certo, più di qualche momento del film rappresenta scorci di grande cinema (Mei che entra per la prima volta nel cunicolo dei rovi che la porterà al cospetto di Totoro, molte delle sequenze di vita familiare col padre, davvero ben rese e commoventi, o la splendida caratterizzazione di quest'ultimo, quando insegna alle piccole a rispettare la sacralità del luogo e degli esseri viventi che lo abitano), ma con la freddezza di questo finale molto deludente, a mio modo di vedere, il lavoro assume i contorni di un'occasione per certi versi sprecata, nonostante tutti i suoi meriti oggettivi, e con questo si spiega la valutazione non irresistibile nei confronti di un lavoro che ha fatto sfaceli di premi importanti ma che, per la sua trama, è stato abbondantemente superato nel tempo da un remake (o meglio, lungometraggio dal soggetto affine) come Una lettera per Momo (2011) di Hiroyuki Okiura, estremamente derivativo, ma che almeno dà alla vicenda, molto simile, una conclusione che la rende davvero degna di venire ricordata. Questo con buona pace della popolarità in madrepatria del grosso Totoro che, amatissimo dai bambini e grazie alla vendita massiccia di merchandising allegati, diventa la mascotte ufficiale dello studio, e il cui film - senza dubbio il Ghibli preferito dai giapponesi, almeno a sentire Talahata nel 19928 - è stato l'unico a trovare un vero e proprio seguito ufficiale (il cortometraggio Mei and the Kitten Bus, proiettato però esclusivamente al Ghibli Museum e per questo motivo mai arrivato all'home video).

Nota: Totoro è arrivato in Italia ben vent'anni dopo l'originale uscita nelle sale nipponiche, distribuito da Lucky Red e fresco di un adattamento certosino, fedelissimo all'originale ed estremamente ben recitato.

Voto: 7,5 su 10

SEQUEL
Mei and the Kitten Bus (2003; corto)


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 138
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 193
3 Come sopra
4 Mangazine n. 20, Granata Press, 1993, pag. 40
5 Come sopra
6 Jonathan Clements & Helen McCarthy, "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition", Stone Bridge Press, 2012, pag. 436. Confermato su Kappa Magazine n. 129 (Star Comics, 2003, pag. 3)
7 Intervista a Hayao Miyazaki pubblicata sul sito Nanodà alla pagina web http://www.nanoda.com/hayao-miyazaki-intervista-esclusiva/
8 Kappa Magazine n. 2, Star Comics, 1992, pag. 64

8 commenti:

Antisistema ha detto...

Visto il Mio Vicino Totoro di Hayao Miyazaki. Questo film è come Et-l'Extrarestre per Spielberg, dove i due autori riversano la loro mielosità ed il loro buonismo.
Mamma mia che bambinata. Oramai sono troppo vecchio per via dei miei 19 anni, per film del genere, sono fuori tempo massimo di 14 anni per vedermi un tale film.
L'aspetto grafico è maestoso, siamo tra le animazioni tradizionali più belle che abbia mai visto, il paesaggio naturale è bellissimo, le scene sotto la pioggia fantastiche accompagnate da musiche sublimi.
Il problema è...dov'è la trama? Sto Totoro compare si e no 15 minuti totali in un'ora e 20 di film, i personaggi sono abbozzati appena con Mei e Satsuki ,la madre è poco presente e il padre è invisibile. Il personaggio del ragazzino è fine a sè stesso, mentre nonnina spacca, ma è una lucciola nel deserto.
Poi in nome della sanità mentale, ma che cacchio erano quei ricci di mare in casa!!! Spirito del bosco? Esistono veramente?

Nel finale speravo si risollevasse con la morte della madre ma niente. Mi sarebbe andata bene anche un esplosione termonucleare così a muzzo dal nulla, mi avrebbe risollevato il film dal buonismo mieloso di fondo e vi giuro che gli avrei dato 10, ma niente, Miyazaki non mi ha sorpreso per niente.

Visto il litigio nella parte finale tra le due sorelle (che fa destare lo spettatore dal torpore leggermente), gli do 5,5 come voto. Insomma grafica stupenda ma trama scarsa. La poetica di Miyazaki è inesistente in questo film d'animazione.
In sostanza, tra le due recensioni, concordo con quella di Jacopo nettamente.

Jacopo Mistè ha detto...

La poetica miyazakiana c'è un po' anche in questo film (i bambini che sono il futuro del mondo, la natura incontaminata con la sua magia e bla bla bla), è solo che Totoro rimane, appunto, un film espressamente fatto per bambini. La critica lo ama perché è una gioia visiva, e la cosa ci può stare, ma per questo appunto...

frizio ha detto...

ragazzi...che dire?
ho 36 anni e ho un figlio di 2 che tutti le sere vuole vedere totoro.
peppa pig?no!
barbapapà?no!
qualche classico disney?no!ponyo?..qualche volta..l'avete già scritto anche voi,è + complesso come film.
solo Totoro!
io dico che totoro è magico,totoro è per eccellenza il film magico per i bambini.
totoro punta direttamente ai bimbi e al bimbo,più o meno nascosto,che è dentro ognuno di noi.
non saprei che altro aggiungere,non so come altro argomentare.
guardandolo in loop non mi stanca,è come guardare qualcosa di bello e naturale,come un bel tramonto.
la campagna,la natura,il rapporto tra sorelle,la mamma in ospedale,la timidezza e generosità di kanta,la comprensione del papà...e i totoro.
tutto contribuisce a renderlo magico.
ovviamente inutile dire che a livello grafico e sonoro è perfetto.
tornando alla discussione con jacopo sul mantenimento delle canzoni originali(vedi recensione virtua fighter),anche per totoro sono favorevole alla traduzione dei testi in italiano.
è un prodotto per italiani,come il doppiaggio è in italiano anche le canzoni devono esserlo!
i bambini devono poter cantare le canzoni dei loro eroi,così come noi della vecchia generazione abbiamo potuto cantare le canzoni della marea di cartoni animati(non anime,cartoni animati)durante gli anni 80.
senza le canzoni italiane dei cavalieri del re,superobot,riccardo zara etc li avremmo amati un pochino meno,di questo son sicuro.
inoltre bisogna apprezzare quando il lavoro viene fatto bene,e per totoro è stato fatto molto bene,dato che non solo le musiche sono originali ma anche i testi.
chi mastica un po'di giapponese sa che è così.
ad esempio il testo finale è scritto proprio da miyazaki,se lasciato in giapponese avremmo perso qualcosa d'importante.
i puristi sarebbero stati soddisfatti ma...non avrebbero capito di aver perso qualcosa dell'opera!

Antisistema ha detto...

Mah...i bambini che sono il futuro del mondo, mi pare un pò forzato ricondurlo alla sua poetica, per quanto concerne questo film.
La natura incontaminata ok, ma sinceramente la natura qua è più vista che sentita a differenza di un Laputa o di un Nausicaa per esempio.
Forse il culto per le vecchie tradizioni ?
Comunque sia solo i fanboy di Miyazaki potranno apprezzare questo film, dopo una certa età.
Il film è una gioia visiva questo è fuor dubbio.

Antisistema ha detto...

"ho 36 anni e ho un figlio di 2 che tutti le sere vuole vedere totoro."

Appunto,, proprio perchè ha un figlio di 2 anni, che riesce ad apprezzare questo film. Purtroppo io sono fuori tempo massimo e non essendo un fan del regista, neanche posso godermelo per quel che è.

Insomma il comparto visivo è sublime, le musiche ottime, ma tutto il resto non riesco ad apprezzarlo per niente. Un'ora e mezza di bambini che urlano, giocano e corrono.

rimatt ha detto...

Evoluzione dei personaggi e presenza di una trama canonica hanno senso solo che si costruisce un film che le preveda. La tragedia classica, con la sua unità di tempo, non contemplava l'evoluzione dei personaggi, eppure nessuno (giustamente) gliene fa un difetto.

In quanto alla trama, uno dei massimi capolavori dell'intersa storia del cinema - 8 e 1/2 di Fellini - ne è del tutto privo; ciò nonostante di tratta di un film epocale che ha avuto un'importanza basilare (perfino un regista come Scorsese, il cui cinema va in tutt'altra direzione, l'ha descritto come il film che ha cambiato la sua vita). Ergo: la trama serve se il film è costruito sulla trama (un poliziesco, per esempio), altrimenti se ne può tranquillamente fare a meno. Lo dice la storia del cinema.

Totoro è poesia: la poesia non raggiunge tutti, la poesia non è per tutti, la poesia non va spiegata ma solo vissuta. La visione di Totoro è un'esperienza unica, lo è anche alla decima replica: un po' mi dispiace per coloro ai quali il capolavoro di Miyazaki non riesce a "parlare", perché si perdono qualcosa di unico che, in animazione, non ha eguali.
Altro che Disney. E questo non perché Totoro sia privo di contenuto: ne ha eccome, ma non è quello a renderlo grande.

Totoro rimane ancora oggi la vetta irraggiungibile della produzione miyazakiana, mai più a questi sublimi livelli. Voto: 10 e lode, ovviamente.

Jacopo Mistè ha detto...

Il problema è che anche il "senso di poesia" è estremamente personale e soggettivo a mio modo di vedere.
Io ad esempio trovo Omohide Poro Poro di una poesia unica, eppure a te non ha detto molto.
Altro esempio: c'è gente che trova poetiche le canzoni di Vasco Rossi (!!).

Per me è solo questione di "avvertirla" o meno, nulla nasce con lo scopo di essere poetico, lo è o diventa a seconda della sensibilità dello spettatore. E per me Totoro è un sonnifero mortale, una sequenza di scene slegate l'una all'altra prive di senso.

rimatt ha detto...

Si capisce, il linguaggio scelto da Miyazaki non "parla" a tutti alla stessa maniera. Io apprezzo la purezza dell'opera, l'armonia tra etica ed estetica, l'assenza di sovrastrutture; ma a me piace farmi trasportare dal flusso della storia e lasciarmi cullare dalle immagini, la coerenza narrativa mi importa poco e solo in certi casi (anche per questo adoro Lynch, tra parentesi). Chi da un film cerca altro, ovvero una storia che abbia un completo sviluppo narrativo e un inizio e una fine ben definiti, non potrà non rimanere deluso dalla semplicità di Totoro e dalla sua estrema linearità; ma questo non vuol dire che di oggettivi difetti si tratti, e tutto è riconducile alle semplici preferenze personali (che nulla aggiungono o tolgono all'opera in sé). Totoro è un film perfettamente compiuto, perché è chiaro che il regista ha raccontato esattamente la storia che voleva raccontare; poi, liberissimi di non apprezzare, ma garantisco che chi apprezza lo fa fino in fondo. ;-)

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità e pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge 7 marzo 2001 n. 62. Molte delle immagini presenti sono reperite da internet, ma tutti i relativi diritti rimangono dei rispettivi autori. Se l’uso di queste immagini avesse involontariamente violato le norme in materia di diritto d’autore, avvisateci e noi le disintegreremo all’istante.