mercoledì 13 ottobre 2010

Recensione: Tokyo Godfathers

TOKYO GODFATHERS
Titolo originale: Tokyo Godfathers
Regia: Satoshi Kon
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Peter B. Kyne)
Sceneggiatura: Keiko Nobumoto, Satoshi Kon
Character Design: Kenichi Konishi, Satoshi Kon
Musiche: Keiichi Suzuki
Studio: Mad House
Formato: film cinematografico (durata 92 min. circa)
Anno di uscita: 2003
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Sony


È impossibile rimanere indifferenti all'affresco di umanità rappresentato da Tokyo Godfathers, terzo film di Satoshi Kon che ne attesta definitivamente la grandezza artistica con uno stuolo di premi e riconoscimenti internazionali. Per chi scrive, ciò che colpisce maggiomente del compianto autore è la fiducia incrollabile che ha fino alla fine nella vita e nelle virtù morali dell'uomo: nelle sue storie la società industriale, sia essa opprimente (Perfect Blue) o intollerante (La Stirpe della Sirena, Millennium Actress), non riesce mai a estirpare i sentimenti più nobili dell'essere umano, che ne sia un ingranaggio o addirittura schiavo. E Tokyo Godfathers, pur film di degrado, di sporcizia, di intolleranza, e di tutti quei tratti che caratterizzano l'altra facciata della moderna società del consumo, è film sulla speranza, sull'amore, sul cameratismo, sulla fiducia nei sentimenti virtuosi.

Settimo adattamento filmico - il primo nipponico - del famoso romanzo The Three Godfathers di Peter B. Kyne, Tokyo Godfathers è la storia di tre straccioni: Gin, barbone acolizzato, padre di famiglia decaduto; Hana, travestito emarginato; e Miyuki, ragazzina ribelle fuggita di casa. Tre malandati individui che hanno perso tutto e vivono di espedienti per arrivare al giorno dopo, dormendo tra rifiuti e litigando con altri reietti per il possesso di cibo. La notte di Natale trovano una neonata abbandonata nella spazzatura. Decidono insieme di cercare i suoi genitori, esplorando l'immensa metropoli di Tokyo. La loro odissea, seppur scandita da amara ironia, sarà un viaggio nel lato più nascosto della moderna civiltà: alle prese con yakuza, bar di travestitismo, teppisti violenti, e, sopratutto, il disgusto e l'intolleranza del borghese medio. Eppure, alla fine, la violenza e i pregiudizi che li colpiscono non li portano mai a desistere dal loro proposito, e in un trionfo di umanità continuano la loro apparentemente impossibile impresa. Più che una storia, Tokyo Godfathers è la glorificazione della nobiltà d'animo dell'essere umano: nessuno costringe Gin, Hana e Miyuki a cercare i genitori della piccola Kiyoko (nome provvisorio dato alla piccola), ma pur non avendo niente da guadagnarci e neanche da perdere, decidono di compiere un'azione valorosa affinché anche la loro miserevole esistenza abbia un perché, riuscendo a ritagliarsi il ruolo di eroi e a fare finalmente i conti con il proprio passato.


Un film drammatico nel suo background, ma scritto coi toni della commedia, brioso e in più punti divertentissimo grazie alla simpatia degli eroi, ai loro battibecchi e alla fantastica pantomina. Un altro lungometraggio, come quello precedente, che ha il pregio, enorme, di raccontare una storia d'effetto che fa ridere, commuove e rende felici senza inventarsi chissà che vicende improbabili o sensazionalistiche, ma premendo il pedale sulla forza del racconto, sul sense of wonder, sui sentimenti, sulle caratterizzazioni. Contenutisticamente è il lavoro filmico più in sintonia con l'ottimismo e la buffa ironia del Satoshi Kon mangaka (basti vedere il tenore dei racconti che formano il volume L'eredità dei sogni, pubblicato in Italia da Planet Manga), seppur distantissimo, dal punto di vista formale, da Perfect Blue e Millennium Acress. Rispetto loro Tokyo Godfathers è diretto in modo più tradizionale e, pur non abbandonando abituali tecniche cinematografiche, abbandona del tutto le famose sequenze visionarie marchio del regista, forse per permettere maggior immediatezza nella trama o anche solo per mire più internazionali del film.

Rimane una gemma, che con i classici disegni meravigliosi di Kon, la splendida fotografia e le animazioni magistrali di Mad House si erge facilmente a miglior lungometraggio d'animazione nipponico del 2003. Insieme a Millennium Actress, il must see per eccellenza di Satoshi Kon.

Voto: 9 su 10

1 commento:

Pietro Donganagungatulaganacongo Sidoti ha detto...

appena finito di vedere, capolavoro (parola spesso abusata di recente, ma in questo caso davvero ben spesa) un film che ti lascia un segno dentro, ti fa vedere come dovrebbe essere chiunque: pronto a rischiare tutto pur di fare la cosa "giusta"

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità e pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge 7 marzo 2001 n. 62. Molte delle immagini presenti sono reperite da internet, ma tutti i relativi diritti rimangono dei rispettivi autori. Se l’uso di queste immagini avesse involontariamente violato le norme in materia di diritto d’autore, avvisateci e noi le disintegreremo all’istante.